Joseph Hubertus Pilates nacque in Germania nel 1880 nei pressi di Düsseldorf, un importante porto sul Reno che si stava velocemente trasformando nel centro industriale del nord-ovest della Germania.
Figlio di padre ginnasta e madre naturopata, entrambi attratti dall’idea di “curarsi” con l’esercizio fisico, crebbe con la convinzione che aria fresca e molto allenamento potessero prevenire e curare le malattie.
Era un bambino cagionevole e soffriva di vari disturbi fisici: asma, febbre reumatica e rachitismo. Questa sua debolezza costituzionale, invece che indurlo a rassegnarsi alla propria infelice condizione, lo portò ben presto sia ad interessarsi di medicina, di alcune tecniche orientali di rilassamento e concentrazione, sia a praticare numerosi sport occidentali (sci, boxe, ginnastica, tuffi) fortemente influenzato dagli antichi programmi ginnici greci e romani al fine di vincere i propri limiti fisici.
Si dedicò allo studio dell’anatomia umana e dello sviluppo muscolare servendosi di un libro regalatogli da un medico di famiglia; a questa attività unì l’acuta indagine della dinamica di movimento degli animali, che andava a osservare di nascosto nei boschi.
A 14 anni aveva a tal punto superato le limitazioni fisiche che gli avevano segnato l’infanzia da poter posare come modello per le raffigurazioni di tavole anatomiche.
Sui 18 anni, iniziò pugilato e più che ventenne, lavorò in Germania come pugile professionista. Trasferitosi in Inghilterra nel 1912 lavorò per Scotland Yard allenando gli agenti in autodifesa e, allo stesso tempo, il pugile Max Schmelling. Nello stesso anno aggiunse alla lista delle sue abilità l’arte circense. Già nel 1914 divenne una star e girò l’Europa in tournée con un numero in cui lui e suo fratello interpretavano le statue greche.
Nel 1914, dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, venne internato per un anno in un campo di prigionia come nemico straniero nel Lancaster insieme ad altri connazionali. Qui si dedicò ad insegnare wrestling e tecniche di autodifesa ai compagni di prigionia perfezionando le proprie idee in materia di esercizio fisico e affermando orgogliosamente che i suoi allievi sarebbero usciti da questa esperienza più forti di prima. Fu in quel periodo che iniziò ad elaborare il proprio originale sistema di esercizi denominato Contrology.
In seguito, trasferito sull’Isola di Man, Pilates fu costretto a confrontarsi con una realtà ancora più drammatica, a contatto con soldati menomati a seguito delle ferite riportate in guerra, costretti all’immobilità o comunque bisognosi di terapie riabilitative.
Diventato una sorta di infermiere, si impegnò a costruire macchinari e attrezzature che potessero favorire il recupero fisico dei feriti e durante tutta la sua vita continuò a sviluppare e a creare nuovi attrezzi al piano inferiore del suo studio originario di New York dove aveva una piccola officina nella quale lavorava con entusiasmo con suo fratello Fred.
Inizialmente queste attrezzature inventate da Pilates erano semplici oggetti di uso quotidiano o strumenti di lavoro riadattati all’esigenza di praticare certi esercizi per riconquistare la mobilità e la tonicità muscolare senza compromettere le aree ferite.
Per esempio il cosiddetto Magic Circle in origine non era che il cerchio di ferro di una botte di birra che ne teneva insieme gli assi (come tedesco autentico, Joseph Pilates amava la birra!) e la sofisticata Cadillac non era che una struttura simile ad un baldacchino che si poteva collocare al di sopra di un letto d’ospedale cui erano state applicate molle prese dalle reti di questi (ne aveva perfino creata una versione più piccola, destinata ad essere messa sopra alla sedia a rotelle!).
In anni successivi lavorò come artista del circo, dove ebbe l’idea iniziale della Wunda Chair, che sviluppò più tardi fino a trasformarla in un vero e proprio Reformer per uso domestico oltre che in un pezzo di arredamento dal design assolutamente innovativo e originale in quanto, una volta girata, diventava una poltrona a tutti gli effetti.
Tra il 1918 e il 1919 una terribile epidemia di influenza, la famosa ‘Spagnola’, flagellò l’Europa uccidendo venti milioni di persone, più del doppio dei morti della prima guerra mondiale. Sebbene la malattia abbia fatto
il numero maggiore di vittime proprio nei campi di prigionia, fra queste non vi fu nessuno degli allievi di Joe. Molti attribuirono la loro sopravvivenza al programma di allenamento che avevano seguito.
Finita la guerra, Pilates ritornò in Germania, dove conobbe il grande coreografo e famoso analista del movimento Rudolf von Laban che rappresentò un primo aggancio fecondo tra ‘metodo Pilates’ e mondo della danza moderna. Pilates si rese subito conto che la collaborazione con questo mondo poteva essere fruttifera: per i ballerini infatti era estremamente importante che il corpo si muovesse in modo preciso per prevenire gli infortuni.
La fama di Pilates si diffuse a tal punto che ottenne un contratto per lavorare in qualità di istruttore delle reclute del corpo di polizia ad Amburgo.
Qualche anno più tardi, nel 1926, il governo del Kaiser gli propose di occuparsi dell’addestramento delle truppe d’èlite del nuovo esercito tedesco, ma Pilates, pacifista di natura, non gradì questo ruolo e rifiutò.
L’attenzione del governo nazista per l’educazione fisica dei componenti dell’esercito tedesco si inscrive in quel più ampio movimento interessato a promuovere la Korperkultur, negli anni venti assai diffuso in Germania, secondo il quale salute e prestanza fisica erano espressione di superiorità anche morale e che venne coltivato tanto dalle sinistre, come un mezzo per la preparazione e l’affermazione della classe operaia, quanto dal nazionalsocialismo, che vi sosterrà dapprima il proprio credo nazionalista e quindi il proprio mito di superiorità razziale.
A quell’epoca molti tedeschi fuggivano dal paese spinti da questa atmosfera militaristica ormai diffusa.
Il pugile Max Schmelling, vecchio cliente di Pilates, si stava per trasferire a New York e il suo manager propose a Pilates di lavorare in uno studio in città se li avesse seguiti e avesse continuato ad allenare Max.
Pilates accettò, e all’età di 42 anni, si preparò ad iniziare una nuova vita e partì alla volta degli Stati Uniti D’America.
Durante il viaggio attraverso l’Atlantico, nell’aprile del 1926, conobbe una giovane donna di nome Clara (secondo alcuni era un’infermiera, secondo altri una maestra d’asilo) che diventerà sua moglie e la sua più fedele assistente.
Il manager di Schmelling trovò uno studio per Pilates al numero 939 della 8th Avenue a New York e Joe iniziò l’ardua impresa di cercare di attrarre abbastanza clienti per guadagnarsi da vivere durante la Grande depressione. I due aprirono la palestra “The Studio”, in un palazzo proprio accanto alla sede del New York City Ballet.
Questa circostanza si rivelò fondamentale e gli allievi della scuola iniziarono a rivolgersi a Pilates a seguito di traumi fisici più o meno seri al fine di intraprendere un’attività di riabilitazione che consentisse loro di continuare a danzare. Diventò amico dei ballerini Ted Shaun e Ruth St Denis e, mentre le voci sulla straordinaria efficacia del metodo si diffondevano, attirò nuovi seguaci, tra cui Ron Fletcher, Hanya Holm, Merce Cunningham.
Fu invece una stella di prima grandezza del mondo della danza, Martha Graham, forse la più grande esponente della modern dance americana, a raccogliere l’insegnamento di Pilates e a rielaborare il metodo sino a metter appunto una sua propria tecnica che rivela moltissimi punti di contatto con le idee di Pilates.
Per comprendere l’elevato livello qualitativo in cui la tecnica Pilates si era inserita anche nell’ambito del balletto classico, possiamo ricordare un aneddoto secondo il quale lo stesso George Balanchine avrebbe consigliato vivamente ai propri allievi “di andare da Joe” per raggiungere un veloce recupero dopo traumi e infortuni.
Pilates continuò così la propria attività, perfezionando ulteriormente il metodo e i macchinari per gli esercizi nella sua personale officina, riabilitando danzatori infortunati, formando allievi che a loro volta, dopo la sua morte si sarebbero sparpagliati per l’America fondando scuole in cui avrebbero insegnato il metodo del loro grande e infaticabile maestro.
Nel 1966 il palazzo in cui aveva sede “The Studio” si incendiò e Joe accorse tentando di salvare il salvabile. Il pavimento di legno gli crollò sotto i piedi, lui riuscì ad aggrapparsi ad una trave e restò in quella posizione per parecchio tempo, fino all’arrivo dei vigili del fuoco che lo portarono in salvo.
Fu diffusa l’opinione che la sua morte, avvenuta l’anno seguente nell’ottobre del 1967 all’età di 87 anni, fu conseguenza diretta di quell’incidente.
Il centro andò avanti sotto la guida di Clara, considerata da molti come un’insegnante più compassionevole, intelligente e gentile, per certi versi superiore allo stesso Joseph Pilates. Dopo la sua morte, avvenuta dieci anni più tardi, Romana Kryzanowska, un’allieva molto vicina, subentrò in tutto e per tutto nella gestione dello Studio che rilevò e trasferì in una nuova sede, in 56th Street, fra la 5th Avenue e la 6th Avenue. Come insegnante, Romana fu straordinaria, ma non fu altrettanto brava dal punto di vista della gestione; nel 1986 finì per venderlo dopo un lento e inarrestabile declino.
La denominazione ‘Studio Pilates’ si diffuse soltanto a seguito della morte del suo fondatore. Soltanto allora infatti Clara acconsentì a dare così un nome ufficiale all’attività di Pilates nella speranza di ottenere i fondi indispensabili alla sua prosecuzione.
Ciò però non significa che la storia del ‘metodo Pilates’ si chiuse in questo modo: l’efficacia che lo contraddistingue divenne il fattore stesso della sua capacità di dare frutti anche in ambito fisioterapico, fra gli sportivi e i cultori del benessere fisico e psicofisico. Il ‘metodo Pilates’ costituisce ormai un ‘prodotto generico’ come l’aspirina, lo yoga… entrato ormai in uso nel linguaggio comune.
Joseph Pilates era un uomo che credeva profondamente nel suo sistema come modo di vivere, era convinto che tale metodo potesse interessare ogni sfaccettatura dell’essere umano e di conseguenza l’intera società. Desiderava che il suo metodo fosse insegnato in ogni scuola ed istituto, credendo che i bambini dovessero conoscere il proprio corpo e che le informazioni dovessero essere semplici e accessibili.
In molti dei primi articoli su Pilates si descrive la sua passione per gli animali e “dell’animale come movimento”, ovvero come esempio di semplicità ed eleganza, che si rileva anche dai nomi attribuiti a molti esercizi. Avrebbe voluto uno studio di pilates in ogni isolato di Manhattan e questo sogno ormai è una realtà e non solo americana. Lui ne sarebbe molto orgoglioso.
Nel 1934 pubblicò un primo breve libro sui suoi metodi, chiamato “Your Health” (La tua salute) che contiene la sua teoria di vita basata sull’equilibrio tra mente e corpo. In esso colse anche l’occasione per lamentarsi di coloro che usavano i suoi metodi e le sue idee senza alcuna riconoscenza, lamentela che continuò a ripetere tutta la vita.
Nel paragrafo di apertura del suo secondo libro “Return to life through Contrology” (Ritorno alla vita attraverso la Contrologia), pubblicato nel 1945, Pilates scrive: “L’allenamento fisico è il primo requisito necessario per la felicità. La nostra interpretazione di allenamento fisico è la realizzazione e il mantenimento di un corpo uniformemente sviluppato con una mente sana, totalmente in grado di portare avanti in maniera naturale, facile e soddisfacente i nostri vari e molti compiti giornalieri con un entusiasmo e un piacere costanti”. In questo testo, approfondisce i principi delineati nel primo, fornendo una lista di 34 esercizi per tappetino che i lettori possono eseguire a casa per riprendere il controllo dei propri corpi.
Tutt’oggi è possibile vedere alcune vecchie pellicole di Pilates mentre esegue la sequenza dei suoi 34 esercizi originali che mostrano come il suo sistema fosse faticoso e intenso rispetto allo stile di pilates che oggi viene insegnato più frequentemente.
Quando Pilates non ci fu più per proteggere le sue idee, alcuni dei suoi seguaci fusero i suoi metodi con i propri, creando nuovi ibridi. Non c’è dubbio che se Pilates fosse ancora vivo, continuerebbe ad adattare gli esercizi per assimilare le conoscenze moderne e affrontare i problemi attuali, e permetterebbe di insegnare a suo nome solo chi avesse ricevuto una formazione completa sui suoi metodi aggiornati.
Joe Pilates era un salutista che però considerava la forma fisica un mezzo per godere di una vita piena; è ben nota infatti la sua passione per i sigari,
il whisky e le donne.
“Il mio metodo è unico e rivoluzionario. Si distingue da solo”.
(J. H. Pilates)